Raffaele Faccioli fu un emblema del verismo nel mondo della pittura del XIX secolo, e la sua arte assume un tono ancora più eclatante per il fatto che proveniva da Bologna, contrastando il prevedibile conservatorismo di un territorio facente parte delle legazioni pontificie. Ma le cose stavano cambiando. La vita di Faccioli, infatti, si colloca proprio a cavallo della dialettica tra conservatorismo e Risorgimento: la Bologna dello stato pontificio era già stata protagonista di rivoluzioni liberali che si riallacciavano alla causa nazionale italiana fin dal 1821, stroncate sul nascere o soffocate nel sangue, per poi entrare definitiva mente a fare parte del nuovo stato-nazione liberale nel 1861, con la seconda guerra d’indipendenza.

Tutto ciò ebbe le sue ripercussioni sul mondo dell’arte italiana, che sulla scia degli ideali patriottici e liberali intraprese un percorso di rinnovamento che la portò a distaccarsi dalla tradizione canonica delle accademie, il cosiddetto “accademismo” per spostarsi su nuovi soggetti, in questo caso il “vero”.
Raffaele Faccioli nacque nel 1845, e si formò a partire dall’età di 12 anni presso il Collegio Venturoli, per poi frequentare l’Accademia delle Belle Arti di Bologna, dove fu seguito dai maestri Antonio Puccinelli e Giulio Cesare Ferrari. Cominciò a farsi notare molto presto tramite esposizioni e premi, che lo renderanno acclamato dalla critica come uno dei pittori più promettenti della scena. A 18 anni partecipò alla prima Esposizione Emiliana con i due quadri “il Profeta Geremia” e “Miscellanea”, mentre negli anni 1864 e 1866 vinse il piccolo premio Curlandese. I primi successi gli conferirono la Pensione Angiolini per recarsi a studiare a Firenze, dove si trasferì insieme all’amico Luigi Serra. A Firenze, alla società promotrice delle Belle Arti, venne acquistato dal ministero della pubblica istruzione uno dei quadri più emblematici di Faccioli, L’abbandono preveduto. In questo quadro si esprime la ormai delineata vena verista dell’artista, nella rappresentazione della vita quotidiana carica di sentimentalità, in cui i colori giocano un ruolo chiave nella rappresentazione del reale. Dopo Firenze, Faccioli si spostò a Roma per completare il suo pensionato, che terminò con l’opera che ritrae Belisario e sua figlia Giovannina che per le vie di Bisanzio chiedono aiuto.Il primo reale successo di Raffaele Faccioli a livello nazionale si intrecciò con il processo di rinnovamento che stava attraversando il mondo dell’arte italiano durante il Risorgimento, caratterizzato da nuove istituzioni alternative alle Accademie di Belle Arti, che ebbero un nuovo potere economico nel commissionare opere, garantendo maggiore libertà agli artisti, molti dei quali manifestavano la volontà di distaccarsi dai formati canonici del quadro storico, orientandosi piuttosto verso la rappresentazione del reale vissuto quotidianamente. Da questo punto di vista, infatti, l’ideologia risorgimentale ebbe una grande influenza su questo cambiamento: la precedente situazione politica stagnante, priva di reali prospettive politiche che rispecchiassero l’idea di una nazione gloriosa nel presente, rendeva facile un forte attaccamento al passato, forse unico motivo di vanto, privando il presente di una reale importanza. Tutto ciò deve considerato alla luce del paradigma ottocentesco, fortemente impregnato di rivendicazioni nazionali. L’avanzare del liberalismo in Italia, però, accompagnato dalle guerre d’indipendenza del 1848 e dell’unificazione italiana nel 1860, volse l’attenzione di una branca dei pittori al presente, al reale. E di fatto, diede importanza alla borghesia come classe sociale economicamente rilevante nella commissione di opere d’arte. Da ciò derivò ad esempio, la fondazione della Società Protettrice delle Belle Arti. Durante l’esposizione del 1868, il re Vittorio Emanuele II comprò il quadro di Faccioli Giorno dei morti.

Raffaele Faccioli, quindi, si inserì come pittore in un processo democratizzante della società urbana che investiva la “nuova Italia”, che ebbe le sue ripercussioni nelle nuove scuole artistiche che sorsero in Campania, in Toscana e in Piemonte, dove l’assoluta egemonia del maestro come unico depositario di conoscenze veniva messa in discussione, a favore di un atteggiamento di scambio di tecniche e idee orizzontale. In questa nuova scuola, la coscienza del principio del vero, in opposizione all’accademismo, emerse come protagonista. A Bologna questo sviluppo prese piede alla vigilia dell’Unità d’Italia e continuò con nuovi artisti del calibro di Raffaele Faccioli, Luigi Busi e Luigi Serra. Faccioli era profondamente convinto che la rappresentazione del vero costituiva la possibilità di rinnovamento dell’arte per stare al passo coi tempi, superando il quadro storico. Ma cosa significava stare al passo con i tempi? Significava per lui saper cogliere e fare esprimere il soggetto in maniera autentica, liberandosi del passato per dare spazio al presente, che poteva esprimere meglio ciò che era reale nelle sue mille sfumature. Questo suo modo di esprimersi coglieva appieno la trasformazione che l’Italia stava attraversando e fu protagonista di innumerevoli esposizioni in Italia e a livello internazionale. Nel 1887 il suo lavoro ottenne un altro riconoscimento dalla casata reale: la regina Margherita di Savoia comprò il suo quadro In Attesa, presentato all’esposizione nazionale di Belle Arti di Bologna.Investito dai profondi cambiamenti che stavano attraversando la società, Raffaele Faccioli seppe certamente cogliere le possibilità che i tempi gli offrivano, ed ottenne importanti riconoscimenti internazionali, tra i quali ricordiamo una medaglia all’Esposizione Internazionale di Vienna nel 1873 con il quadro Le due ore nella piazza San Marco di Venezia, e la menzione d’onore all’Esposizione Universale di Parigi del 1900 per Lorenzo Stecchetti. Intrattenne, inoltre, una ricca carriera accademica, venendo nominato in svariate accademie d’Italia, arrivando a conseguire, infine, il suo posto maggiormente ambito, ovvero la presidenza dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. La sua vita fu segnata anche da un breve matrimonio, iniziato nel 1888 con Giulia Rizzoli, da cui ebbe una figlia Beatrice, e finito tragicamente nel 1889 con la morte della sposa di parto. Nel 1916 l’artista scomparve, dopo aver lasciato al mondo una grande collezione di opere che testimoniano la volontà di rinnovamento tramite l’espressione del vero, di cui un’opera è situata nel museo Ottocento di Bologna, Le concerie in via capo di Lucca.

Luca Urzi
BibliografiaRenzo Grandi, Dall’Accademia al Vero, la pittura a Bologna prima e dopo l’Unità, Galleria d’Arte Moderna, Bologna 1983Storia e memoria di Bologna, https://www.storiaememoriadibologna.it/archivio/persone/faccioli-raffaele-0Paolo Stivani, Dal quadro storico al racconto verista, https://www.raffaelefaccioli.it/dal-quadro-storico-a-verista/