Tra solitudine e luce: il realismo interiore di Luigi Bertelli (1833-1916)
Avevo finito di leggere, prima di risolvermi a questa ricerca dei luoghi bertelliani, le poche lettere dell’artista a suo padre, alla moglie, ai figliuoli: in tutte mi aveva colpito la semplicità del tono, il costante richiamo a sentimenti di carità, di fiducia nella provvidenza divina
Nino Bertocchi-Luigi Bertelli, 1832-1916, Edizioni Rupe Bologna
Luigi Bertelli si presenta con delle caratteristiche semplici, genuine, pure: il valore delle sue opere, direttamente connessa con la volontà di cogliere l’essenziale della realtà, non gli verrà riconosciuto se non dopo la sua morte. Sarà la sua originalità a impedirgli di entrare all’interno dei movimenti artistici, i quali obbedivano ossequiosamente ai criteri delle leggi di mercato.
Nel 1833 nasce alla “Fiorentina” presso S.Lazzaro di Savena da Giuseppe Bertelli e da Giovanna Malaguti: le rive del Savena offrono al giovane Luigi la possibilità di appassionarsi alla pittura. Ma il podere, le cui compre erano andate a male e le vendite erano insufficienti, lo obbligarono a far cessare la sua attività per dare una mano al padre. Il giovane dunque abbandona lo studio della pittura per dedicarsi al sostentamento della famiglia falcidiata dalla povertà. L’adolescenza coincide anche con la conoscenza della fornace, elemento indispensabile per la sopravvivenza della famiglia Bertelli:
Il fornacione avrebbe potuto essere, veramente, la fonte di guadagno necessaria e sufficiente per mantenere la covata bertelliana
Se le condizioni economiche poco agevoli rendevano la vita della famiglia ancor più difficile, il suo richiamo verso la pittura diventava a mano a mano sempre più viscerale. All’età di 35 anni la situazione, d’un tratto, sembra cambiare: il Conte Ercole Malvasia, proprietario del podere in cui abitava, spinto dalla curiosità di scoprire se Luigi avesse qualche disposizione alla pittura lo volle invitare a Parigi, che in quel periodo pullulava di intellettuali e artisti. Un “viaggio d’istruzione” in cui poteva finalmente farsi valere grazie all’esposizione delle sue migliori creazioni artistiche. Tuttavia il sogno duró poco: i quadri non riscossero successo e non furono nemmeno esposti.
Da quel momento in poi l’esistenza fu ancora più tormentosa e difficile: le sue opere vengono svendute affinché il ricavato (purché minimo) possa aiutare in qualche modo la sopravvivenza della famiglia. La solitudine e la povertà, rappresentano le colonne portanti che l’hanno accompagnato durante la vita e anche durante la morte, avvenuta il 23 Gennaio 1916 nella sua abitazione. Solo successivamente gli verrà riconosciuto il valore delle proprie opere: chiara dimostrazione è la presenza delle sue opere in molteplici musei, come per esempio nel nostro, il Museo Ottocento Bologna.
L’opera di cui parlerò oggi è “San Luca” prodotta nel 1910. La chiara e limpida rappresentazione strizza l’occhio al naturalismo: movimento artistico che acuisce lo spirito di Luigi. Quest’ultimo, attraverso l’utilizzo di colori caldi riesce ad esprimere al meglio le caratteristiche del Santuario. Dietro ad esso possiamo intravedere l’alba che abbraccia Bologna, creando una situazione tanto realista quanto paradisiaca. L’assenza di esseri umani (se non in maniera indiretta), la nebbia che funge da cuscino per San Luca, sono ingredienti che se mescolati catturano il fruitore portandolo in un’altra dimensione: quella della verità per l’artista.

Federico Donzelli
Studente laureando al terzo anno della triennale di Filosofia di Bologna, tirocinante presso il Museo Ottocento Bologna. Appassionato di storia dell’arte e del costume, letteratura e scrittura.