Mostre
Ineffabile Lea. Lea Colliva (1901-1975)
A cinquant’anni dalla morte
Nel 2025 a cinquant’anni dalla morte di Lea Colliva Museo Ottocento Bologna celebra un’artista cruda, libera e in continua germinazione, con un’approfondita personale
a cura di Beatrice Buscaroli e Francesca Sinigaglia
Museo Ottocento Bologna, Piazza San Michele 4/c, Bologna
Dal 31 ottobre 2025 – 16 marzo 2026
Orari di apertura: Tutti i giorni dalle 10 alle 19
Quando, nel 1991, Marilena Pasquali redigeva la biografìa di Lea Colliva su La pittura in Italia – Il Novecento scriveva: «[…] forse l’unica voce autenticamente espressionista nel panorama bolognese fra le due guerre» aggiungendo «manca però una rivisitazione completa della sua opera che le riconosca i suoi meriti». A questo si aggiungeva Nino Bertocchi (1900-1956) che, tanti anni prima scriveva, in un manoscritto rimasto inedito: «una monografia che si volesse dedicare a questa pittrice risulterebbe delle più folte e sorprendenti».
Il 2025 è dunque l’anno propizio per celebrare la pittrice con un’approfondita personale, organizzata dal Museo Ottocento Bologna in occasione dei cinquant’anni dalla morte, avvenuta il 12 luglio del 1975. Artista cruda, libera e in continua germinazione, la Colliva viene oggi studiata attraverso la rilettura di tutte le fonti critiche precedenti messe a confronto, per la prima volta, con una indagine lenticolare condotta da Francesca Sinigaglia, dell’Archivio della Fondazione Bertocchi Colliva di Monzuno: ciò ha permesso di evidenziare dettagli inediti e novità assolute mai emersi finora. Le carte della pittrice, furono riordinate anche dalla sorella Renata, che tanto apprezzava e valorizzava l’opera di Lea.
Dopo la sua morte, un articolo apparso sulla Strenna Storica Bolognese e firmato da Elena Gottarelli, esprimeva perfettamente e in poche pagine, l’animo «inquietante e segreto» della pittrice. La stessa Gottarelli denunciava la «portata del lutto che ha colpito la cultura italiana» per «la fine repentina e pudica che ha suggellato la vicenda terrena dell’artista». Fu proprio Elena Gottarelli a consegnare una descrizione di Lea Colliva che in parte restituisce la sua persona: «Non ha avuto un carattere facile, questa creatura indomita che qualcuno ha definito “una forza della natura”, sprigionava energia violenta che sapeva trasformare in buone maniere […] è stata una donna completamente dominata dall’arte. Si trattò del famoso “sacro fuoco” [..] proprio per il dato di irrazionalità che essa sottende: tagliente, pentita, dispettosa, segreta, gelosa e generosa.
Mai meschina, anzi vibrante di qualcosa di eroico che ritroviamo intatto nei suoi dipinti e che fa sì che essi abbiano la virtù di scatenare in chi li osservi emozioni inconsuete e senza dubbio estreme». La Colliva fu «tremendamente vittima e gloriosamente vittoriosa d’una forza sotterranea con la quale si è cimentata ogni giorno, ogni ora della propria esistenza».
Se dalla critica fu sempre considerata autodidatta, le ultime ricerche hanno rilevato che fin da giovanissima frequentò lo studio di Flavio Bertelli (1865-1941) in via del Poggiale, condividendo i suoi interessi artistici con i colleghi Nino Bertocchi (1900-1956), Ferruccio Giacomelli (1897-1987), Giovanni Romagnoli (1893-1976) e Nino Corrado Corazza (1897-1975), le personalità che avrebbero alimentato la scena artistica e critica tra gli anni Venti e Quaranta, prima sula scia del nuovo naturalismo bertelliano e poi con la Rivista L’Orto di cui la Colliva fu tra i fondatori.
Lea Colliva partecipò su invito anche alle Quadriennali Romane, alle Biennali di Venezia, e si ricavò un seguito internazionale con dipinti conservati in numerose collezioni pubbliche e private, insegnando anche, per più di venti anni, all’Accademia di Belle Arti di Bologna e ottenendo, nel 1972, l’onorificenza di «Cavaliere Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana» In tutta la sua vita la Colliva alternò momenti intellettuali a momenti carnali, palesando una volontà assoluta di arrivare all’astrazione, al cosmo, alla libertà, pur consapevole della sua (e della nostra) natura corporea: far parte di un tutto astratto e cosmologico, pur sapendo bene di essere, in vita, completamente umani.
Ma come arrivò a questi risultati? Analizzando i suoi cinquant’anni di vita e di carriera artistica – che per lei, con evidenza, coincidevano – si può godere di un percorso di formazione interiore, un viaggio alla scoperta di una coscienza privata sempre più accanitamente forte, mano a mano che percorreva le tappe della sua vita artistica. La mostra, curata da Beatrice Buscaroli e Francesca Sinigaglia, delinea in modo inedito, le varie fasi pittoriche di Lea Colliva, esponendo più di 80 dipinti, alcuni mai visti prima, di cui un grosso nucleo è messo a disposizione dalla Fondazione Bertocchi Colliva di Monzuno. Partendo da un primo periodo di contatto completo con la natura, in cui la giovane donna, dipinse le colline del territorio di Monzuno, con interesse naturalistico, dagli anni Cinquanta la pittrice inizierà a liberarsi sempre di più delle radici che la tenevano a terra, arrivando ad una completa fase di astrazione, in cui il cosmo le si rivelò attraverso il suo stile materico.
Corredata da catalogo monografico bilingue e a colori, a cura di Francesca Sinigaglia, con approfondimenti inediti sulla vita e sulla carriera dell’artista, la mostra ripercorre i suoi riti di passaggio, le sue vittorie ma anche le sue sconfitte, con la consapevolezza che Lea Colliva rimarrà per sempre indefinibile, libera e, soprattutto…«ineffabile».
INFO
Mostra:
Ineffabile Lea. Lea Colliva (1901-1975). A cinquant’anni dalla morte
A cura di:
Beatrice Buscaroli e Francesca Sinigaglia
Date:
31 ottobre 2025 – 16 marzo 2026
Sede espositiva:
Museo Ottocento Bologna, Piazza San Michele 4/C, Bologna
Orari di apertura:
Tutti i giorni, 10-19
Ingressi:
12€ intero / 10€ ridotto (Card Cultura, Bologna Welcome Card, studenti, gruppi dalle 7 persone in su, bambini dai 6 anni, insegnanti, giornalisti) / 6€ Studenti Università di Bologna / Gratuito (bambini sotto i 6 anni, guide turistiche con patentino, disabili e accompagnatori)
Informazioni e prenotazioni:
tel. 051 498 9511 | info@mobologna.i
Patrocini
Comune di Bologna, Regione Emilia Romagna, Comune di Monzuno, Bologna Welcome, Ascom – Confcommercio Bologna, Camera di Commercio Industria, Artigianato e Agricoltura di Bologna, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna – Dipartimento delle Arti, Accademia di Belle Arti Bologna, Comitato per la Bologna storico-artistica, Associazione Francesco Francia, Fondazione Cardinale Giacomo Lercaro.
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Dinastia Savini
Giacomo (1768-1842)
Alfonso (1836-1908)
Alfredo (1868-1924)
Una grande esposizione dedicata alla famiglia Savini protagonista delle variegate correnti stilistiche che dominarono e si svilupparono nell’intero secolo XIX con prestiti dalle più importanti collezioni pubbliche italiane
Museo Ottocento Bologna
Piazza San Michele 4/c
Dal 18 ottobre 2024 al 3 marzo 2025
PROROGATA FINO AL 5 MAGGIO 2025
Museo Ottocento Bologna ha il piacere di annunciare una grande esposizione sulla famiglia Savini, i cui protagonisti, grazie alla complessità genealogica e alle relative qualità artistiche, possono essere considerati, a buon diritto, l’autentico specchio dell’Ottocento artistico bolognese: l’alto livello qualitativo promuove i Savini ad exempla delle variegate correnti stilistiche che dominarono e si svilupparono nell’intero secolo XIX.
Sono diversi i membri che composero la dinastia, e che ebbero una lunga fortuna critica.
La mostra parte da inizio secolo, per approfondire la figura di Giacomo Savini (Bologna, 1768-1842) che, allievo di Vincenzo Martinelli, è stato tra i referenti principali del periodo Neoclassico, in particolare del paesaggio. Di quest’ultimo si espongono rarissimi dipinti inediti.
Da metà secolo si distinse poi Alfonso Savini (Bologna, 1838 – 1908) che ebbe una vita molto lunga e sviluppò il suo interesse per la pittura di genere, prima di taglio neo-pompeiano e poi neo-settecentesco, tramite il mercante d’arte Adolphe Goupil che lo fece conoscere in tutto il mondo. Nel 1895 partecipò anche alla prima Biennale di Venezia. I suoi dipinti si conservano nelle raccolte internazionali più prestigiose.
Chiuse il secolo infine Alfredo Savini (Bologna, 1868 – Verona, 1924) che, rielaborando la lezione del padre, si gettò su linee liberty e iper-realistiche. Vinse il Premio Baruzzi nel 1896 con Auxilium ex alto e, dopo essersi trasferito a Verona, nel 1905 espose alla Biennale di Venezia.
I Savini, nonostante la forte diversità iconografica che li distinse, ebbero un minimo comune multiplo che li accomuna tutti: il raggiungimento della più elevata maestria pittorica, attraverso una formazione comune presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e la frequentazione delle esposizioni nazionali e internazionali. La mostra, composta da prestiti pubblici dalle più importanti collezioni nazionali e privati, dialoga con la collezione permanente del Museo Ottocento Bologna, in un approfondimento magistrale e ricco di spunti di riflessione.
In occasione della mostra viene proposto un catalogo monografico bilingue (ita/eng) che raccoglie le biografie dei pittori e il corpus completo dei dipinti. Le tematiche relative a Giacomo Savini (1768-1842) saranno indagate da Ilaria Chia, mentre gli approfondimenti relativi a Alfonso (1838-1908) e Alfredo (1868-1924) Savini saranno a cura di Francesca Sinigaglia.
INFO
Mostra:
Dinastia Savini
A cura di:
Francesca Sinigaglia e Ilaria Chia
Date:
18 ottobre 2024 – 3 marzo 2025
Sede espositiva:
Museo Ottocento Bologna, Piazza San Michele 4/C, Bologna
Orari di apertura:
Tutti i giorni, 10-19
Ingressi:
12€ intero / 10€ ridotto (Card Cultura, Bologna Welcome Card, studenti, gruppi dalle 7 persone in su, bambini dai 6 anni, insegnanti, giornalisti) / 6€ Studenti Università di Bologna / Gratuito (bambini sotto i 6 anni, guide turistiche con patentino, disabili e accompagnatori)
Informazioni e prenotazioni:
tel. 051 498 9511 | info@mobologna.i
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Mario de Maria (1852-1924) detto Marius Pictor.
Ombra cara
A cento anni dalla morte, 70 opere provenienti da prestigiose istituzioni museali e da collezioni private celebrano il pittore simbolista, tra i fondatori della Biennale di Venezia
PROROGATA FINO AL 9 SETTEMBRE 2024
Museo Ottocento Bologna
Piazza San Michele 4/c
Dal 21 marzo 2024 al 9 settembre 2024
A cent’anni dalla morte, avvenuta il 18 marzo 1924, il Museo Ottocento Bologna celebra la figura del pittore simbolista Mario De Maria, noto anche come “Marius Pictor“.
La mostra Mario De Maria, “Marius Pictor” (1852-1924). Ombra cara, in programma dal 21 marzo al 30 giugno 2024 presenta 70 dipinti – tra capolavori, inediti e opere ritrovate e appositamente restaurate dal Museo Ottocento Bologna – provenienti da prestigiose istituzioni museali italiane (Gallerie degli Uffizi, Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, Galleria d’Arte Moderna di Milano) e da collezioni private nazionali e internazionali.
Una mostra antologica significativa – la prima che tenta di organizzare una disamina della produzione di De Maria – per conoscere ed approfondire il singolare percorso dell’artista, uomo complesso e tormentato, sodale di Gabriele D’Annunzio, padre del “Simbolismo italiano” o “Naturalismo spiritualista”, e tra i pionieristici fondatori della Biennale di Venezia.
La mostra, a cura di Francesca Sinigaglia, è parte del progetto Bologna pittrice | Il Lungo Ottocento | 1796 – 1915, un’iniziativa promossa dal Settore Musei Civici Bologna che coinvolgerà quindici sedi espositive delineando un percorso nella pittura bolognese dall’età napoleonica all’inizio della Grande Guerra.
Ombra cara è strutturata in sette sezioni che ripercorrono la vita di De Maria dagli esordi fino alla morte. Il percorso si delinea come un “racconto” attraverso le parole dell’artista, al centro dei cambiamenti artistici di fine secolo. Le sue parole sono tratte dalle lettere manoscritte che inviò all’amico Vittore Grubicy de Dragon, oggi conservate presso l’Archivio Grubicy del MART di Rovereto e dell’Archivio De Maria presso la Biblioteca del Museo Correr di Venezia. Attraverso esse, il visitatore potrà farsi un’idea della personalità dell’artista, sempre in conflitto con se stesso e con gli altri, ma al tempo stesso “raffinato e onesto critico della sua opera” (Sinigaglia).
Il percorso di mostra prende avvio dai primi anni della formazione a Bologna all’esperienza romana con D’Annunzio con l’illustrazione dell’Isaotta Guttadauro, all’analisi del suo personale apporto alla fondazione della Biennale di Venezia (di questo periodo sono esposti diversi capolavori, tra cui il grande dipinto La luna che torna sulla madre terra (1903) della Fondazione Venezia): la sua presenza presso la Sala del Sogno e la grande personale del 1909, i legami con il Nord Europa e la pittura di Rembrandt. Una sezione particolare della mostra, la quarta, è dedicata alla morte della figlioletta Silvia, con l’opera Ombra cara (1911-1914) realizzata in ricordo dall’amico e collega Vittore Grubicy de Dragon. La mostra si conclude indagando il rapporto tra De Maria e le città di Asolo e Bologna, con la serie dedicata alla Putredine della Casa di Satana e alle narrazioni macabre della seconda metà degli anni dieci del Novecento.
Mario De Maria frequentò l’Accademia di Belle Arti di Bologna per poi trasferirsi a Roma, dove aprì uno studio in via Margutta. Fu tra gli animatori del gruppo In Arte Libertas, che vantava, tra i suoi membri, gli artisti più conosciuti in ambito internazionale del periodo: Giulio Aristide Sartorio, Dante Gabriel Rossetti, Arnold Böcklin. A Roma entrò in contatto anche con il più importante letterato del secolo: Gabriele D’Annunzio, a cui fu legato da una profonda amicizia e proficue collaborazioni, realizzando il suo capolavoro L’alunna (1886) intonato sui versi di Isaotta Guttadauro e Eliana, dai candidi pavoni, finalmente riuniti dopo più di un secolo. Oltre che da D’Annunzio, De Maria venne sostenuto anche dai critici d’arte Angelo Conti detto “Doctor Mysticus” e Diego Angeli, che lo riteneva il pittore più rilevante di fine secolo.
Nel 1891 si trasferì a Venezia assieme a l’élite culturale italiana del circolo dannunziano che sfociò nella creazione della Mostra Internazionale d’Arte di Venezia nel 1895, di cui De Maria realizzò il primo padiglione. Egli fu inoltre l’unico bolognese a far parte della prima commissione giudicatrice della Biennale.
Qui ebbe la possibilità di portare avanti le sue ricerche pittoriche legate al concetto di Simbolismo, spesso approfondito con narrazioni ed episodi della tradizione. Tra queste è degna di nota la Salomè (1890 ca.), opera di grandi dimensioni, recentemente ritrovata, in cui l’artista traspone, in maniera inedita, la storia biblica in una storia popolare, racchiudendo nell’ombra la chiave di lettura dell’intera opera.
De Maria si spostava spesso da Venezia a Brema, in Germania (la moglie Emilia Voigt era infatti tedesca), ebbe quindi l’occasione di approfondire la conoscenza dell’opera di Rembrandt, da cui rimase affascinato, realizzando opere fondamentali come Lilienthal (1901), che immortala uno scorcio di un fiume in un bosco rosso e giallo autunnale che fa da sfondo ad una processione di Cardinali. Da lui considerata uno dei suoi capolavori, l’opera viene ufficialmente presentata al pubblico, in questa mostra, anche in veste di nuova acquisizione del Museo Ottocento Bologna.
In questo periodo si colloca inoltre la triste vicenda familiare che portò l’artista sulla soglia della disperazione: la morte della figlia Silvia, di soli sei anni. De Maria non si riprenderà mai completamente dal lutto, arrivando a sperimentare, nelle sue opere, un Simbolismo dai risvolti sempre più macabri e drammatici.
Dopo la morte della bambina, l’artista realizzò significativi dipinti come la serie de La casa di Satana, di cui si conoscono varie versioni, in cui, seppur ambientate in luoghi reali come il cortile di una casa veneziana, gli ambienti sono trasfigurati e fanno emergere il senso del Male racchiuso nella realtà, oppure La monaca e il Diavolo (1922) che racconta la leggenda medievale dell’Arco dello Spavento a Firenze, dove per placare le voglie fameliche di un serpente diavolesco si costituì una comunità di religiose preposte a nutrire il mostro con degli innocenti conigli.
Il Simbolismo di Mario De Maria va comunque letto alla luce dell’ambiente culturale italiano proprio del periodo che va dagli ultimi due decenni dell’Ottocento agli anni Venti del Novecento, che vedeva nelle rievocazioni storiche e mitologiche contatti diretti con il divino.
De Maria morì a Bologna all’Ospedale Maggiore nel 1924. Si narra che il giorno prima di morire egli fuggì dall’ospedale per ammirare l’ultimo raggio di sole che colpiva la facciata della Basilica di San Petronio. Aveva fondato la Biennale di Venezia, partecipato a dieci edizioni della manifestazione e costruito la Casa dei Tre Oci che esiste ancora oggi, alla Giudecca. Nel 1909 Vittore Grubicy scrisse: «Gli artisti “a lui solo dedicati“ , anche con lustro di illustrazioni, si contano a decine con un accordo non solito nel nostro paese. Ne risulta in sostanza che al momento attuale dell’Arte Italiana non v’è nessun altro pittore che possa venir anteposto a Lui».
La mostra è accompagnata da catalogo monografico in italiano e in inglese completo di illustrazioni a colori e regesto completo dei dipinti conosciuti, con testi critici degli studiosi del pittore e dei contesti di fine secolo: Elena Di Raddo, Anna Mazzanti, Francesca Sinigaglia.
INFO
Mostra:
Mario De Maria, detto Marius Pictor (1852-1924). Ombra cara
A cura di:
Francesca Sinigaglia
Date:
21 marzo-30 giugno 2024
Sede espositiva:
Museo Ottocento Bologna, Piazza San Michele 4/C Bologna
Orari di apertura:
tutti i giorni, 10-19
Ingressi:
12€ intero / 10€ ridotto (Card Cultura, Bologna Welcome Card, studenti, gruppi dalle 7 persone in su, bambini dai 6 anni, insegnanti, giornalisti) / 6€ Studenti Università di Bologna / Gratuito (bambini sotto i 6 anni, guide turistiche con patentino, disabili e accompagnatori)
Informazioni e prenotazioni:
tel. 051 498 9511 | info@mobologna.it
mobologna.it
Ufficio stampa
Sara Zolla | tel. 346 8457982 | press@sarazolla.com
Carlotta Gargalli (1788-1840).
Una pittrice bolognese nella Roma di Canova
La mostra si presenta come la prima monografica dedicata alla pittrice bolognese Carlotta Gargalli (Bologna, 1788 – Roma, 1840). Figlia del ritrattista Filippo, frequenta come prima donna i corsi dell’Accademia Nazionale di Belle Arti, sorta dopo la soppressione della Clementina. Nel 1811, su interessamento di Antonio Canova, ottiene il privilegio, allora straordinario per una donna, di studiare a Roma con una sovvenzione statale. Nell’Urbe frequenta gli ambienti dell’Accademia del Regno italico, con sede a Palazzo Venezia, istituzione presieduta dal diplomatico Giuseppe Tambroni sotto la supervisione di Canova, dove confluivano i giovani più promettenti delle tre accademie di Venezia, Milano, Bologna. Ritornata nella sua città nel 1815 attraversa un periodo di intensa attività, caratterizzata dalla produzione di ritratti, soggetti sacri, copie dei capolavori della Pinacoteca. Nel 1821, anno delle nozze con lo speziale Carlo Rovinetti, la Gargalli risulta un’artista affermata, tanto da essere definita l’«Elisabetta Sirani dei nostri giorni».
Poi i lutti famigliari ne rallentano l’attività che termina definitivamente a Roma nel 1840, non senza però un’ultima sorpresa, un «Gabinetto di quadri» che la pittrice risulta gestire in via del Corso, 63. L’esposizione, oltre a ricostruire il corpus pittorico e il profilo biografico di un’artista dimenticata, punta a illuminare i rapporti tra lo scultore Antonio Canova e i giovani presenti nelle aule dell’Accademia del Regno italico a Palazzo Venezia. Sorta a Roma sul modello dell’Accademia di Francia, si consumò nel giro di pochi anni (1812-1815) a causa del crollo dell’impero napoleonico e delle aspirazioni nazionali che incarnava. Tuttavia lì si formarono alcuni tra i maggiori talenti pittorici dell’Ottocento italiano, il romantico Francesco Hayez e il purista Tommaso Minardi.
Tra i molti volti troviamo, oltre a quello di Carlotta Gargalli, anche il romagnolo Giambattista Bassi, paesaggista di grande talento che frequentò l’Accademia di Belle Arti di Bologna, amico dello scrittore Pietro Giordani e apprezzato dallo stesso Canova che ne ottenne due dipinti per la propria collezione. In tale occasione, il Museo Ottocento Bologna presenterà in anteprima anche l’opera Il giardino del lago a Villa Borghese di Giambattista Bassi di recente acquisizione
Mission
Museo Ottocento Bologna inaugura il proprio circuito mostre dedicando un giusto approfondimento alla prima figura felsinea femminile che frequentò l’Accademia Nazionale di Belle Arti di Bologna, dopo la sua trasformazione da Accademia Clementina. Con questa esposizione, il Museo si pone due obiettivi: vuole, da una parte, mettere in luce le doti e la caparbietà di una donna che, grazie al proprio talento, seppe distinguersi in una società artistica dominata dagli uomini; dall’altra, inaugurare un percorso scientifico e critico di monografie dedicate alle donne pittrici emiliane.
INFO
Mostra:
Carlotta Gargalli (1788-1840). Una pittrice bolognese nella Roma di Canova
A cura di:
Francesca Sinigaglia e Ilaria Chia
Date:
31 ottobre 2023 – 25 febbraio 2024
Sede espositiva:
Museo Ottocento Bologna, Piazza San Michele 4/C, Bologna
Orari di apertura:
Tutti i giorni, 10-19
Ingressi:
12€ intero / 10€ ridotto (Card Cultura, Bologna Welcome Card, studenti, gruppi dalle 7 persone in su, bambini dai 6 anni, insegnanti, giornalisti) / 6€ Studenti Università di Bologna / Gratuito (bambini sotto i 6 anni, guide turistiche con patentino, disabili e accompagnatori)
Informazioni e prenotazioni:
tel. 051 498 9511 | info@mobologna.i
Patrocini: Comune di Bologna, Regione Emilia Romagna, Bologna Welcome, Accademia di Belle Arti di Bologna, ASCOM Confcommercio, Collegio Ghislieri
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