È il 1886 quando i fratelli Fabbi, Fabio ed Alberto, intraprendono un viaggio che segnerà la loro vita. La destinazione è Alessandria d’Egitto, meta che al tempo accoglie un incredibile flusso di visitatori europei dopo essere divenuta un protettorato britannico nel 1882. In un’Europa imperialista e sulle spinte garibaldine promotrici di un “nuovo mondo”, l’interesse verso culture differenti si accende e si espande a macchia d’olio.
Prende così il sopravvento un vero e proprio mito, quello dell’Oriente.In Italia i Circoli Artistici di Firenze e di Bologna, sulla scia del recente interesse coloniale, organizzano eventi dedicati all’esotismo. Maschere e travestimenti mettono in scena luoghi estranei reinterpretati in chiave occidentale accendendo così la passione dei partecipanti. I fratelli Fabbi furono assidui frequentatori delle feste esotiche e non è un caso che il marchio della loro produzione artistica sia stato proprio il soggetto orientale.Il famoso etnologo De Gubernatis descriverà in particolare Fabio Fabbi come uno <<…tra i più forti pittori orientalisti del nostro paese>>. In effetti è proprio con Fabio che questa corrente iniziò a distinguersi per una descrizione del tutto inedita del lontano Oriente. Famosi orientalisti come Pasini e Ussi presentano soggetti esotici portatori di un gusto del tutto estraneo alla produzione di Fabio Fabbi. A contraddistinguerlo è il senso di evasione che pervade le sue opere, dove l’attitudine naturalistica viene smorzata per lasciare spazio a suggestioni fantastiche e pulsioni erotiche.
La protagonista indiscussa della produzione di Fabio Fabbi è la donna dell’harem, schiava che abita uno dei luoghi più esplorati dalla corrente orientalista.L’harem in Occidente è visto come una dimensione nascosta e segreta in cui regnano comportamenti sessuali disinibiti. Le figure femminili diventano così sia il simbolo di terre straniere sconosciute sia il feticcio prediletto su cui proiettare fantasie sessuali.
Osservando un’opera come La favorita dell’harem, conservata a Museo Ottocento Bologna, confermiamo l’attitudine a rendere l’Oriente un vero e proprio palcoscenico per tematiche marginalizzate e talvolta censurate. L’odalisca guarda negli occhi l’osservatore, mostrandosi in una nudità che tutto riempie e che da tutto viene riempita. Il suo corpo è un ornamento, come lo stesso tendaggio bordeaux che lo incornicia o come le raffinate pantofole dalla punta all’insù che indossa.La sua immagine ci viene offerta come un gioiello prezioso in grado di folgorare e attrarre l’osservatore. È così che Fabio Fabbi riesce ad incantare gli amatori d’arte, realizzando quella diffusa aspirazione alla scoperta e alla liberazione attraverso figure femminili capaci di soggiogare le convenzioni comuni.
A questo punto è doveroso domandarsi: Ma a quale Oriente fa riferimento Fabbi?
Il suo non è certamente un Oriente reale, è piuttosto un mondo esotico idealizzato ed immaginato che rispecchia molto di più l’Occidente. Basti pensare infatti che all’epoca territori come quelli del Nord Africa divennero l’habitat di un fenomeno molto diffuso e contestato, quello della tratta delle schiave bianche. Molte donne europee in condizioni economiche precarie migravano sulle coste dei nuovi territori colonizzati per essere poi preda di traffici e usurpazioni. Un fenomeno tanto agghiacciante che in verità venne via via sempre più romanticizzato e silenziato, forse proprio perché tutto ciò che avveniva oltremare veniva percepito come distante ed anche un po’ irreale. Il “nuovo mondo” a cui ci si appella è quindi in realtà uno scenario fantasmagorico e del tutto immaginato, forse addirittura sognato. Fabio Fabbi si aggrappò proprio a quel sogno, quello dell’uomo europeo che ambisce all’evasione dalla confinata realtà in cui rientra per riconoscersi in ciò che risiede oltre l’orizzonte comune. Bisogna ricordare che, nonostante l’operazione sia stata profondamente apprezzata dai contemporanei, il confronto di Fabbi con la realtà su cui si affaccia non è paritario. La stessa rappresentazione della donna che diventa feticcio testimonia concretamente la disparità che c’è fra l’artista e il soggetto.
L’Oriente è un oggetto, rivendicato come un bene acquistato ed ormai di proprietà occidentale. Temi sconcertanti come lo sfruttamento femminile e l’abuso sessuale passano in sordina e in Europa vengono visti come immagini fantastiche e piene di fascino. Ciò è possibile perché la posizione occupata rispetto alla realtà rappresentata è quella di un mondo ricco e privilegiato che non comprende la natura di una cultura estranea. La visione borghese rimane ancorata allo sfruttamento e alla feticizzazione, avvalendosi sempre di un gradino in più rispetto all’ “altro”.Come in Un terrazzo ad Alessandria, l’Europa rimane in “alto” a contemplare da lontano un mondo che a mano a mano esplora e conquista, travestendolo del gusto imperialista dominante.
Elisa Menabue
Bibliografia
De Gubernatis, Artisti italiani viventi, Firenze 1889
Francesca Sinigaglia e Edoardo Battistini, Fabio Fabbi (1861-1945) Il viaggio dell’anima, Fondantico, Bologna 2021