Guardandosi attorno tra le sale della collezione permanente del Museo Ottocento Bologna, si rimane colpiti dalla presenza di tanti quadri di soggetto ironico o satirico. Molti pittori bolognesi in questo modo sfuggivano alle rigide regole della tradizione accademica, un po’ per uno spirito ribelle che si voleva opporre alle convenzioni e un po’ per seguire una volontà di creare un’arte che si prendesse meno sul serio, più giocosa e leggera, ottenendo comunque dei risultati di grande qualità.

Sono numerose le opere alla cui vista non possiamo trattenere un sorriso come “Il guanto della sfida” (fig. 1) di Giovanni Paolo Bedini (1844-1924) in cui vediamo un litigio tra un uomo e un gatto per un guanto che giace sul pavimento. Oppure, restando in ambito felino, “La serenata” di Raffaele Faccioli (1845-1916) in cui osserviamo un gatto che pare dedicare una canzone a un’altra gattina accompagnandosi con un mandolino. Ancora, uno dei quadri più interessanti dello stesso Faccioli è “Le concerie di via Capo di Lucca” (fig. 2) in cui abbiamo una veduta della via di Bologna nota appunto per le sue concerie, resa con grande realismo enfatizzato dalla rappresentazione di una scena molto buffa: un gruppo di ragazzi decidono di buttarsi a fare il bagno nell’acqua nudi ma, venendo scoperti dalla polizia, si danno alla fuga portando uno dei personaggi a inciampare e cadere rovinosamente. Ci fa sorridere teneramente anche il quadro di Garzia Fioresi (1888-1968), “La lettura”, in cui un bambino è rappresentato mentre è seduto sul divano tenendo sulle ginocchia un giornale, come se fosse una persona adulta che si interessa all’attualità politica. Infine, ci colpisce Amleto Montevecchi (1879-1964) che nel suo “Autoritratto (richiamo macabro)” (fig. 3) gioca con il proprio nome richiamando il dramma shakespeariano “Amleto”. Si ritrae infatti con un teschio che pare giungersi improvvisamente alle spalle suscitandogli sorpresa e terrore, come si può vedere dalla sua espressione con gli occhi sbarrati e la fronte aggrottata.

 

 

(fig. 1) Giovanni Paolo Bedini, Il guanto della sfida, 1870 ca., olio su tela, 38,3×33,5 cm, Museo Ottocento Bologna

 

 

(fig. 2) Raffaele Faccioli, Le concerie di via Capo di Lucca, s.d., olio su tela, 126 x 68 cm, Museo Ottocento Bologna
(fig. 3) Amleto Montevecchi, Autoritratto (richiamo macabro), 1931, olio su tela, 65 x 55 cm, Museo Ottocento Bologna

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se però si vuole parlare di ironia all’interno della collezione del museo dell’Ottocento i veri protagonisti sono Alfredo Protti (1882-1949) e Gino Marzocchi (1895-1981) su cui vale la pena soffermarsi maggiormente.

Alfredo Protti nacque a Bologna nel 1882 in un contesto familiare modesto: crebbe nell’officina del padre – che era un artigiano – sviluppando un animo istintivo ed estraneo a qualsivoglia intellettualismo. Frequentò il ginnasio al Seminario di Bologna e successivamente si iscrisse all’Istituto di Belle Arti in cui ebbe occasione di venire a contatto con la cosiddetta “frangia scapigliata”, composta da diversi dei suoi compagni più irrequieti, come Athos Casarini (1883-1917) e Ugo Valeri (1873-1911), e da altri artisti esterni all’Istituto. Il panorama artistico bolognese era infatti ancora molto legato alla tradizione positivista, all’arte decorativa e ai soggetti storici e mitici. La frangia scapigliata ricercava delle nuove forme espressive, più adatte per rappresentare la contemporaneità e che si opponessero ai modelli didattici obsoleti della tradizione accademica. Protti dà prova della sua sagacia già definendo i pittori usciti dall’Accademia come “professori di foglia”, in quanto raggiunsero la fama dipingendo foglie orlate, mele granate e assi di coppe sui muri. I pittori moderni erano invece esclusi dalle commissioni pubbliche, l’unico spazio in cui avevano la possibilità di esporre era quello della Società Francesco Francia, fondata nel 1894 per promuovere le proposte dei giovani artisti bolognesi emergenti attraverso l’organizzazione di mostre periodiche collettive a cui Protti partecipò sei volte dal 1906 al 1911, vincendo anche il premio della critica.

L’irriverenza del nostro pittore si manifesta ulteriormente quando, una volta ottenuto il diploma di pittura, lo regalò al portiere della scuola come gesto di ribellione e di disinteresse verso gli ambienti istituzionali, che continuavano a non considerare i movimenti che si stavano affermando Oltralpe come il simbolismo, l’impressionismo e il divisionismo da cui Protti era invece molto affascinato. Da questo momento cominciò a partecipare sia a mostre italiane che internazionali, riscontrando un buon successo. Aderì al secessionismo bolognese insieme a Guglielmo Pizzirani (1886-1971), Carlo Corsi (1879-1966), Garzia Fioresi (1888-1968), Giovanni Romagnoli (1893-1976) ed Emma Bonazzi (1881-1959): si trattava di un movimento volto a rinnovare la visione estetica locale sulla scia del secessionismo europeo. Gli artisti bolognesi si caratterizzarono per la rappresentazione della banalità quotidiana, in particolare Protti era noto per i suoi dipinti di bellissime donne in interni domestici bolognesi ricchi di raffinati dettagli.

Tra le opere esposte al Museo Ottocento Bologna c’è infatti “Lo sguardo” (1924) (fig. 4) in cui vediamo ritratta una delle sue modelle non secondo le regole della ritrattistica tradizionale ma di spalle, facendo sì che se ne veda il volto solo attraverso il riflesso dello specchio verso cui si china. L’apice dell’ironia di Protti la abbiamo però nel suo “Autoritratto” (1905-1906) (fig. 5) in cui gioca con la sua fama di ritrattista di modelle molto attraenti decidendo di vestirne i panni e di posare così con grandissima serietà, mostrando la propria attitudine ludica e disinibita verso la questione sessuale e di genere.

 

Alfredo Protti. femminilità Sensuale
(fig. 4) Alfredo Protti, Lo sguardo, 1924, olio su tela, 91 x 62 cm, Museo Ottocento Bologna
(fig. 5) Alfredo Protti, Autoritratto, 1905-1906, olio su tela, 66 x 52 cm, Museo Ottocento Bologna

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’artista che però presenta una vena umoristica e satirica ancora più spiccata è Gino Marzocchi. Nato a Molinella nel 1895, crebbe a Bologna in cui frequentò l’Accademia di Belle Arti con, tra gli altri, Augusto Majani (1867-1959). Nel corso della sua carriera partecipò a moltissime mostre sia a livello locale che internazionale come per esempio a tre edizioni della Biennale di Venezia, quattro della Quadriennale di Roma, all’Esposizione Internazionale dell’Arte di Barcellona e all’Internazionale di Parigi. Oltre che pittore Marzocchi si occupava anche di caricature, in cui è facilmente analizzabile il suo tono satirico che non casca però mai nella cattiveria. L’artista aveva un modo canzonatorio di affrontare i propri soggetti ma in senso bonario, con delicatezza: dimostra una grande capacità nella rappresentazione dei personaggi femminili con sincerità ma anche sensibilità, così come negli altri personaggi di cui vuole evidenziare il carattere.

La sagacia di Marzocchi si coglie perfettamente all’interno di due dei quadri esposti al Museo Ottocento Bologna: “Critica a Morandi” (s.d.) (fig. 6) e “Il processo a Morandi” (1950) (fig. 7). Come si evince dai titoli, Marzocchi canzona gli studiosi e i critici che seguivano ciecamente il genio di Morandi, trascurando il resto delle proposte artistiche locali. Nel primo dipinto vediamo tre critici che osservano con fare impegnato un dipinto di Morandi, senza però nemmeno rendersi conto che la tela è al contrario. Nel secondo invece ci sono rappresentati i più importanti maestri della storia dell’arte italiana (Leonardo, Tiziano, Giorgione, Raffaello, Michelangelo, Perugino e Caravaggio), che mostrano ai tre critici più importanti del Novecento Argan, Venturi e Longhi un’opera di Morandi con fare polemico. Da parte di Marzocchi non c’è la volontà di sminuire il maestro di via Fondazza, a cui rende anzi omaggio, ma di far riflettere sulla preparazione degli studiosi.

 

 

(fig. 6) Gino Marzocchi, Critica a Morandi, s.d., olio su cartone, 49 x 30 cm, Museo Ottocento Bologna

 

 

(fig. 7) Gino Marzocchi, Il processo a Morandi, 1950, olio su cartone, 50 x 70 cm, Museo Ottocento Bologna

 

 

Bibliografia e sitografia

Associazione Bologna per le arti (a cura di), Alfredo Protti 1882.1949, Grafiche dell’artiere, 2012

Gino Marzocchi, Dipinti di Gino Marzocchi, Tamari, Bologna, 1970.

Francesca Sinigaglia (a cura di), Guida Museo Ottocento Bologna, Pendragon, 2023

https://www.storiaememoriadibologna.it/archivio/persone/marzocchi-gino

                                                                                                                                                                                                     Paola Pisu

Laureata in Discipline delle Arti delle Musica e dello Spettacolo (DAMS) presso l’Università di Bologna, frequenta il secondo anno del corso di laurea magistrale in Arti Visive presso l’Università di Bologna. Appassionata di storia dell’arte contemporanea e letteratura, interessata all’ambito della curatela.