La stanza del piacere di Fabio Fabbi

Fabio Fabbi, La stanza del piacere, post 1907, olio su tela, 82×146 cm, Museo Ottocento Bologna

 

La stanza del piacere di Fabio Fabbi è un quadro che va contestualizzato nel fenomeno culturale e artistico di fine Ottocento denominato Orientalismo. Infatti, grazie anche alla costruzione e all’apertura del canale di Suez nel 1869, progettato dall’ingegnere italiano Luigi Negrelli e, per questo, definito «Bosforo italiano»[1], iniziò il fenomeno della colonizzazione dell’Africa e dell’Oriente che favorì la fioritura e la diffusione in tutta Europa del movimento artistico dell’Orientalismo che fonde il gusto orientalista con i percorsi stilistici europei del Realismo, dell’Impressionismo e infine dell’Art Nouveau.

Percorrendo il Mediterraneo, l’amore per l’esotico si diffuse a macchia d’olio in tutte le città italiane, travolgendo le Accademie, le Università, le società culturali[2]. Uno dei principali artisti interpreti di questo movimento fu il bolognese Fabio Fabbi, definito, per la sua grande fama e abilità artistica da dallo storico dell’arte Paolo Stivani, «L’ultimo degli Orientalisti». Fabbi, all’inizio si interessò alla scultura, ma, dopo un viaggio ad Alessandria d’Egitto nel 1886[3], rimase catturato da quelle atmosfere esotiche e lontane. Diventò uno dei più famosi pittori orientalisti. I suoi principali soggetti di pittura sono bazar, ambienti e strutture orientaleggianti, mercati di schiavi, donne o schiave e, soprattutto, harem. Una delle sue opere più famose è La stanza del piacere, dipinto ad olio su tela, realizzato dopo il 1907. Il tema principale è la rappresentazione di un momento di piacere e di svago dove la concubina viene allietata con piacere da un eunuco che suona uno strumento musicale che i critici hanno identificato come un clavicembalo.

L’eunuco per molto tempo fu creduto anch’esso una concubina per due motivi: da un lato la massa tondeggiante sotto l’ascela del braccio sinistro sembra un seno, ma, dopo un’attenta osservazione più recente, è stata riconosciuta come la pancia dello strumento musicale; dall’altro il fatto che potesse essere un uomo contrastava con le regole dell’harem, ma, come vi mostrerò, l’eunuco costituisce un’eccezione. Il quadro è una rappresentazione pittorica delle consuetudini dell’Harem del sultano di Costantinopoli. Una regola in particolare stabiliva che le concubine, favorite e non, dovessero stare in stanze chiuse sole o con altre donne o con il sultano e che era severamente vietato stare con altri uomini. Una eccezione a questa regola erano gli eunuchi che avevano il compito di sorvegliare e gestire l’Harem ed erano castrati affinché non provassero attrazione verso le concubine. L’eunuco in questione ha un copricapo molto sfarzoso e sta allietando il momento nella lussuosa stanza chiusa, suonando un clavicembalo.

La donna, come possiamo vedere, è distesa in modo rilassato e soprattutto provocante grazie alla sua nudità esibita. In essa possiamo vedere un viso sorridente, quasi in estasi lasciando intendere che abbia o finito un rapporto sessuale o che stia apprezzando molto la musica dell’eunuco. Possiamo notare come la stanza che viene raffigurata nel quadro sia molto lussuosa grazie al tappeto rosso, ai drappi dorati appesi alle pareti e alla pelle del leopardo dove sopra è sdraiata la concubina.

 

Si osservano poi, molti oggetti in linea con il contesto del quadro come ad esempio le brocche con vassoi che servivano a lavarsi e a dissetarsi. Questi dettagli denotano la visione occidentale dell’epoca che aveva una visione distorta e favoleggiante del mondo orientale.

 

 

In generale, possiamo definire questa opera d’arte di Fabio Fabbi come una tra le opere più rappresentative della sua arte orientalista.

Edoardo Villani


[1] Fabio Fabbi. (1861-1945) Il viaggio dell’anima, p. 31.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.


BIBLIOGRAFIA

–        Francesca Sinigaglia, Fabio Fabbi (1861-1945). Il viaggio dell’anima, ed. Fondantico, Bologna 2021.

–        Guida al Museo Ottocento Bologna, Pendragon, 2023.

–       Si veda il sito dell’Archivio Fabbi al seguente link.