Il meriggio di un fauno di Mario de Maria

Mario de Maria nacque il 9 settembre 1852, nella città di Bologna. Divenuto celebre con lo pseudonimo di Marius Pictor, il grande pittore e architetto bolognese è stato apprezzato e ammirato nel panorama pittorico ottocentesco, finché la sua popolarità subì un forte arresto a causa dell’alterazione del gusto della critica e l’esordio delle Avanguardie. Tuttavia, il suo nome risuona tra le grandi personalità della costellazione dei pittori definiti pre-romantici e simbolisti, che si dedicarono ad una pittura definita da Romualdo Pantini “di fantasia”, ovvero dedita alla rappresentazione della realtà nelle sue forme più profonde e recondite. Nonostante i genitori desiderassero una formazione in campo medico, sotto l’influenza del nonno Giacomo de Maria, noto scultore neoclassico, De Maria entrò nell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Rimasto deluso dagli ambienti bolognesi, distanti dalle innovazioni del linguaggio figurativo europeo, intraprese, nel 1873, diversi viaggi in tutta Europa, insieme all’amico e maestro di disegno Luigi Serra e altri pittori bolognesi come Paolo Bedini e Raffaele Faccioli. In particolare, rimase colpito dalle visioni dei paesisti francesi come Alexandre Gabriel Decamps e Constant Troyon. Tornato definitivamente in Italia nel 1886, si stabilì a Roma dove partecipò al movimento del gruppo «In arte libertas», capeggiato da Nino Costa, seguace dei «Macchiaiuoli toscani». Questi ultimidesideravano spodestare il primato del disegno lineare convenzionalmente definitivo e ribellarsi ai rigidi principi della prospettiva.

Proprio secondo questi principi l’autore realizza l’opera “Il meriggio di un fauno” (Sinfonia bionda), ispirata al primo capolavoro sinfonico di Claude Debussy intitolata “Prélude à l’après-midi d’un faune”. L’opera musicale, a sua volta, è ispirata al testo del “L’après-midi d’un faune”, pubblicato nel 1876 dallo scrittore e poeta francese Stéphane Mallarmé. Il poema, composto da 110 versi alessandrini, rappresenta una pietra miliare per la storia del simbolismo della letteratura francese. All’interno dell’opera il poeta narra, sotto forma di monologo, il risveglio di un fauno da un torpore pomeridiano, ricco di incontri sensuali con le ninfe del bosco. La prima esecuzione della sinfonia di Debussy si tenne il 22 dicembre 1894 a Parigi, presso la Société Nationale de Musique; la messinscena ottenne un grande successo, infatti lo stesso Mallarmé scrisse a Debussy: “La musica evoca le emozioni della mia poesia e definisce lo sfondo in modo più vivo di quanto avrebbe potuto il colore”. La melodia del fauno, affidata al suono mistico di un flauto, si snoda in un’atmosfera ricca di contrasti, come sospesa tra sogno e realtà. Sono questi i temi recuperati da De Maria all’interno della sua opera; il livello cromatico descrive perfettamente, attraverso una sapiente scelta simbolista delle tonalità del colore, una dimensione idilliaca, che ospita la figura del fauno, divinità dei boschi recuperata dalla tradizione mitologica romana. Caratterizzato dalle fattezze umane che si mescolano ad elementi animaleschi, come le corna e le zampe di capra, il fauno è sorpreso mentre è intento a spiare lo stupro di una ninfa. La melodia di Debussy riecheggia nell’opera, grazie al flauto che il fauno stesso è intento a suonare. All’interno del museo Ottocento Bologna è possibile ammirare anche il bozzetto dell’opera, in cui è evidente la forte attenzione del pittore verso la definizione dell’ambiente simbolista del dato cromatico e l’assenza dello stupro della ninfa, successivamente inserito da De Maria nell’opera finale. L’opera è stata esposta alla Biennale tenutasi a Venezia nel 1909, pendant del dipinto di Gabriele D’Annunzio, oggi sulla testata del letto del Vate al Vittoriale.

Testo a cura di Lucia Amenduni