Decorazione evocativa: Augusto Sezanne

L’opera La settimana della Passione (La Basilica d’Oro – Visioni) nasce in un momento in cui la carriera del pittore è ormai fortunata. Nel 1912 Augusto Sezanne (1856 – 1935) ha raggiunto notevole fama in varie Arti e anche in questo caso si possono riscontrare elementi che hanno contraddistinto la sua maniera. Cresciuto, come tutta la sua generazione, sull’onda della pittura post impressionista, egli unisce qui elementi di natura simbolista sia nella forma che nell’argomento.

L’atmosfera è differente rispetto a quella delle opere sorelle presenti in sala: non le linee frenetiche e calligrafiche del ventaglio carduccesco e neppure quell’aria fresca che profuma di Giappone (basta anche guardare il suggestivo monogramma dell’artista) del Notturno veneziano. Con questo quadro ci troviamo all’interno di una grande basilica di cui vediamo uno spaccato: un’edicola dall’aspetto classico al piano inferiore, una fascia marmorea intermedia con bassorilievi che richiamano l’arte longobarda e un’ampia zona riccamente decorata con mosaici, figure e ghirigori vegetali molto simili a quegli intrecci di vite di San Clemente a Roma. Stavolta la suggestione arriva da un Oriente più vicino del Sol Levante: è il mondo greco, l’oro di Bisanzio che brilla su quegli archi ed è automatico paragonare questa scatola di sovrapposizioni di epoche a San Marco, che Sezanne conosceva bene. Sappiamo infatti che alla Basilica veneziana è stato dedicato un ciclo di ben diciotto opere. Ma non importa in quale chiesa ci troviamo, è importante quello che sta avvenendo: non ci è concesso di assistere al rito che si svolge nella navata ma possiamo vedere la reazione di una parte di fedeli, quella più vicina a quello splendore. L’aria gonfia d’incenso è salita fino ai matronei e confonde i contorni di una schiera di donne che piangono il figlio di un’altra, come ci suggerisce il titolo e la raffigurazione sullo stendardo del corpo di Cristo disteso sulla Pietra dell’unzione non ancora avvolto nel sudario, vegliato da angeli cui le donne sovrastanti fanno eco. Vi si affastellano ordinatamente vicine a pregare e tra di loro se ne inseriscono alcune nimbate quasi fossero uscite da una raffigurazione retrostante. In questo momento, in questa comunione del dolore umano a soffrire come e attraverso quelle donne è Venezia, Roma, Bisanzio, tutto il mondo presente e passato.

I principi di das Argument e das Ornament che Alois Riegl pone su binari paralleli e indirettamente proporzionali per quanto riguarda il Simbolismo, vengono adesso ad incontrarsi in un felice punto di equilibrio. Dopo essere passata dall’Accademia al Vero, una certa pittura di fine XIX secolo si fa onirica. Sospeso in un tempo imprecisato e per questo eterno, il soggetto è sintetico quanto basta, nessun volto è definito, c’è qualcosa di sacro e vago, la soggettività dello spettatore gioca un ruolo importante. Stiamo guardando delle donne pregare alla nostra stessa altezza: siamo forse loro compagne di liturgia e compassione?

Facile adesso poter avvicinare questa tela, dato anche il titolo del ciclo pittorico di cui fa parte, allo stesso linguaggio di cui si avvale la Visione dopo il sermone di Paul Gauguin, per esempio, pittore con cui Sezanne condivise certamente una inclinazione per l’Orientalismo. O anche all’elegante astrazione preraffaellita, alleggerita però dal suo algido distacco e arricchita di uno spirituale misticismo. Una certa predisposizione alla linearità grafica, all’ornato che si andava affermando nella fin de siècle in tutta Europa è sempre evidente nella produzione eclettica di Sezanne. Fiorentino di nascita ma bolognese di formazione, frequenta l’Accademia di Belle Arti. Nel clima delle grandi Esposizioni, spinto da una visione universale e l’ottimismo della Belle Époque, l’artista dimostra grande versatilità confrontandosi con opere pubbliche e private non solo a Bologna, dove interviene in luoghi cardine per l’immagine della città. Negli anni si confronta felicemente col restauro (parte del Canton de’ Fiori a cavallo del secolo e un progetto per la Torre dell’Orologio) si presta all’architettura (Palazzo Majani, al tempo molto discusso per l’audace gusto Nouveau portato in pieno centro), alla pittura muraria (le cappelle in San Francesco nel 1911), alla decorazione (suoi i disegni delle tombe di Raffaele Faccioli e di Luigi Serra) e alla grafica (è padre della veste attuale del logo dell’Università di Bologna). Si rende inoltre interprete della lezione delle Arts & Crafts di William Morris aderendo a Aemilia Ars, società fondata nel 1898 dal noto Alfonso Rubbiani per la promozione delle arti applicate, di ispirazione medievale in quanto a zoo e fitomorfismi.

Pur rimanendo sempre legato alla città felsinea egli trascorre parte della propria vita a Venezia, dove insegna all’Istituto di Belle Arti e nel 1895 viene coinvolto dal Comune assieme a l’élite culturale veneziana del tempo (tra cui Mario De Maria) nella fondazione della Biennale, per la quale realizza negli anni diversi manifesti di spiccata impronta Liberty. La città lagunare stava affrontando un momento di forti scosse artistiche anche molto concrete: era infatti rimasta orfana dell’emblematico campanile, crollato nel 1902 e ricostruito a furor di popolo “com’era e dov’era”, subito celebrato anche da Sezanne stesso (la raffigurazione presente al Museo è stata riprodotta su un francobollo all’epoca molto diffuso).

Emerge quindi la figura di un artista che ha assorbito il proprio secolo con coerenza ma che è anche proiettato nel nuovo con uno stile ornamentale originale e vibrante. Perfettamente integrato nell’ambiente culturale del suo tempo, Augusto Sezanne ha lasciato testimonianze fondamentali della propria presenza bolognese, contribuendo a plasmare l’immagine della città a fine Ottocento, un momento storico in cui certi aspetti artistici relativi al Medioevo tornano ad essere attuali. Non solo raffinati espedienti figurativi e decorativi tardo gotici, anche il valore del lavoro manuale d’equipe. In fondo una ghimberga con gattoni gotica non dista molto da una stazione della metropolitana di Parigi ideata da Guimard, un elastico e ramificato corrimano d’acciaio di Horta non è poi così diverso da una drôlerie disegnata da Jean Pucelle e dove sarebbero le lampade Tiffany senza le vetrate di Chartres?

 

Luca Pratesi

Laureando in Arti Visive all’Università di Bologna, ho conseguito la laurea triennale in Beni Culturali all’Università di Pisa indagando le raffigurazione naturalistiche in Età Moderna. I miei interessi comprendono il rapporto tra arte e scienza, la storia del collezionismo, la museologia e  l’arte medievale.


Bibliografia e sitografia