Tra veli e sguardi: dialogo tra donne d’Occidente e d’Oriente secondo Fabio Fabbi

L’Ottocento è un secolo di favolose scoperte geografiche e archeologiche; in particolare il Canale di Suez, inaugurato nel 1869 e fondamentale punto di scambio commerciale tra Occidente e i porti africani, contribuì a favorire un’apertura ad una visione imperialista da parte delle grandi potenze europee. Gli Inglesi, dopo aver ottenuto il controllo del Canale di Suez, nel 1882 bombardarono Alessandria d’Egitto, dichiarando la città un proprio protettorato. Non è un caso che Fabbi decise di giungere ad Alessandria d’Egitto quattro anni dopo: la città sarebbe stata sotto il dominio inglese fino al 1922, godendo di una straordinaria opera di riqualificazione artistica e letteraria grazie all’arrivo di numerose comunità europee.
Fabio Fabbi nacque a Bologna il 18 luglio 1861; formatosi a Firenze presso l’Accademia di Belle Arti, approfondisce gli studi di scultura sotto il maestro Augusto Rivalta. Risale al 1886 il suo viaggio in Egitto, in cui raggiunse il fratello Alberto ad Alessandria d’Egitto. Costituiscono una testimonianza esemplare le fotografie inedite realizzate dall’artista, in cui vennero ricostruiti i set orientali e dove splendide donne dalle pelli lunari assieme a uomini vestiti alla turca si misero in posa per essere fotografati e poi impressi sulla tela.

Fabio Fabbi, Le danzatrici del ventre, s.d., olio su tela, 90 x 151 cm, collezione privata.

Nella produzione artistica di Fabio Fabbi, la vera protagonista è la donna dell’harem, figura emblematica e ricorrente delle sue tele. L’harem, tutt’altro che semplice simbolo di sensualità esotica, rappresentava in realtà la sfera domestica femminile: vi convivevano la moglie o le mogli, i figli maschi in età prepuberale, le figlie non sposate e le domestiche.
Viene spontaneo chiedersi quale potesse essere la percezione, da parte di un uomo abituato alla figura della donna occidentale – come vediamo nel suo dipinto Pescatrici sull’Arno, docili, eleganti e scherzose – di fronte a una realtà completamente diversa, quale appare essere quella delle donne orientali, e in particolare degli harem.
Nonostante l’avanguardia di Fabbi nel mostrare delle donne intente nella pesca, questo tono elegante e ragguardevole viene spezzato da un immaginario nuovo e sconosciuto che diventa anello di congiunzione per pulsioni amorose incontrollate, e in un certo senso giustificate dal contesto sociale. 

Fabio Fabbi, Pescatrici sull’Arno alla Casaccia di Bellariva, 1887 (giugno), olio su tela, 43 x 32 cm

L’Oriente emerse come ponte ideale per comportamenti sessuali disinibiti, esperienze erotiche che in Europa erano impossibili e proibite.

Nelle opere di Fabio Fabbi, le donne orientali appaiono sospese tra due dimensioni complementari e contraddittorie. Da un lato, incarnano pienamente l’immaginario sensuale che l’orientalismo europeo esigeva: corpi sinuosi, immersi in ambienti sontuosi che le trasformano in elementi decorativi dell’harem, quasi oggetti di un desiderio codificato dallo sguardo maschile occidentale. Dall’altro, Fabbi sembra sublimare quella stessa sensualità, trasfigurandola in una forma di devozione estetica: il corpo femminile non è più solo desiderato, ma venerato, elevato a icona di bellezza e perfezione ideale.

 


 

Bibliografia
Francesca Sinigaglia, Fabio Fabbi (1861-1945) Il viaggio dell’anima, Fondantico, Bologna, 2021.

Pepe Giulia Marialucia
Laureanda in Filosofia presso l’Università di Bologna. Appassionata di Bioetica ed Etica applicata.