La rappresentazione femminile nel XIX secolo attraverso i dipinti di Museo Ottocento Bologna
Durante una visita al Museo Ottocento, percorrendo i corridoi e soffermandosi davanti alle opere che vi sono esposte, si ha l’impressione non solo di muoversi nello spazio fisico delle sale, ma anche di entrare, un quadro alla volta, dentro le atmosfere del “secolo lungo” bolognese. Un secolo che, anche a Bologna, si caratterizza per essere un tempo di transizione, segnato da cambiamenti profondi quanto necessari in una società sempre più moderna e in continua evoluzione.
Tale società si prepara ad aprirsi in questi anni a una figura femminile rinnovata, più libera e moderna, secondo un processo di trasformazione lento e progressivo: la donna di primo Ottocento, ancora stretta nei vincoli di una cultura che concepisce il sesso femminile come debole e inferiore sotto ogni aspetto a quello maschile, si incammina silenziosamente su un sentiero che porterà alle prime orgogliose rivendicazioni femministe di fine secolo.
Oltre le cornici che inquadrano i dipinti del Museo, si muovono le donne di questo tempo: ciascuna di loro ci parla a suo modo di un mondo sfaccettato e complesso e ci racconta una storia da leggere con gli occhi.
Addentrandoci nella prima sala del museo, abbiamo modo di osservare le opere del cosiddetto “periodo Goupil”, caratterizzate da una sorta di interesse nostalgico per le atmosfere settecentesche. In questi dipinti sono ricreate le tipiche scene di Ancien Régime: piccoli scorci di un mondo passato fatto di ambienti raffinati e abiti cavallereschi. Un quadro in particolare tra questi, La serenata di Alfonso Savini, ci presenta una elegante fanciulla colta di sorpresa dal suo amato nella propria camera da letto. Si tratta di un’immagine di donna ancora tradizionale, strettamente legata agli ambienti domestici e ai passatempi tipicamente femminili: sul pavimento della stanzetta in cui si svolge la scena, scorgiamo il gomitolo da ricamo abbandonato dalla ragazza per dedicarsi alle lusinghe del suo cavaliere.

Con Luigi Busi, protagonista della pittura bolognese di metà Ottocento, entriamo pienamente nelle atmosfere del nuovo secolo. Le figure femminili che incontriamo nei suoi dipinti sono però ancora fortemente calate nel loro ruolo tradizionale di eleganti ragazze di casa, intente a dilettarsi con un neonato (Le gioie materne) oppure placidamente adagiate in ambienti casalinghi in attesa della lettera del prossimo spasimante (Il paggio e la duchessa).
I primi segni evidenti di un cambiamento si hanno nelle opere degli anni Settanta: ne è un esempio La pittrice di fiori, realizzato nel 1873 da Gaetano Palazzi. L’artista è documentato come autore di tutta una serie di dipinti con scene di genere dedicate a donne intente nelle loro mansioni, non necessariamente “femminili”: accanto alla levatrice, abbiamo la pescivendola e, appunto, la pittrice.

L’anno seguente, in occasione dell’esposizione del 1874 della Società protettrice di Belle Arti di Bologna, Raffaele Faccioli dipinge uno dei suoi capolavori, acquisito di recente dal Museo. Ultimi sorrisi d’autunno rappresenta una scena della quotidianità dell’artista: lo troviamo in piedi, accanto alla moglie, Giulia Rizzoli, anch’essa pittrice di buon livello, che sta ritraendo il paesaggio che li circonda. Il fiume che scorre lento e gli alti alberi affusolati che dominano la scena contemplano in silenzio la coppia di innamorati. L’atmosfera sospesa e sognante del dipinto sembra farci quasi dimenticare che ci troviamo di fronte a una novità assoluta: qui, non solo marito e moglie condividono la stessa passione per la pittura, praticata dall’uno e dall’altra come se non sussistesse la minima disuguaglianza tra i due, ma per la prima volta incontriamo una donna fieramente lontana dagli ambienti chiusi e protetti della casa.

La stessa irriverenza e quel tanto che basta di “sano menefreghismo” riappare nella spontaneità delle Pescatrici di Fabio Fabbi: due donne, abbigliate elegantemente con ampi vestiti colorati, sono sedute una accanto all’altra sull’argine dell’Arno, nei pressi de La Casaccia a Bellariva, a pescare. Il dipinto, realizzato da Fabbi nel 1887, ci dice tanto della percezione dell’artista sulla figura femminile nel proprio contemporaneo, non più relegata in ruoli fissi e convenzionali ma sempre più a suo agio nell’esplorare nuovi spazi ed abitudini. Le fanciulle esotiche che ammiccano da alcuni dei suoi quadri d’ascendenza orientalista esposti al Museo, ispirate forse a donne reali incontrate durante i mesi trascorsi dal pittore in Egitto nel 1886, ci rivolgono sguardi pieni di orgoglio, esibendo la bellezza dei loro corpi con consapevole malizia.

Ci incamminiamo così verso la fine del secolo, attraverso quei decenni decisivi a cavallo tra Otto e Novecento, destinati a fare da ponte verso la contemporaneità.
Nell’ultima sala del Museo il nostro sguardo è rapito da una meravigliosa tela raffigurante un nudo femminile mollemente disteso sopra alcuni drappi variopinti, tra i quali è acciambellato un gatto che quasi si confonde nei colori accesi del dipinto. Lo stile dell’opera, con la sua pennellata densa, la tavolozza audacemente variegata e i motivi geometrici delle stoffe che suggeriscono un certo piacere decorativo di ascendenza liberty, ci porta all’interno dell’orizzonte secessionista e delle sperimentazioni pittoriche di primo Novecento. Ci troviamo di fronte a Giovinezza, un quadro del 1922 dell’artista bolognese Emma Bonazzi: una donna, quindi, ormai pienamente inserita nelle vicende artistiche più rilevanti a livello internazionale dell’epoca. Attiva anche in ambito pubblicitario, in particolare come consulente artistico per la Perugina, la Bonazzi sa farsi strada in un mondo di uomini e trovare il suo posto nel panorama artistico del suo tempo partecipando a esposizioni sempre più importanti, dalla Biennale di Venezia alla Biennale di Roma. È curioso che proprio quest’artista, con cui si conclude il nostro percorso sulle donne del “secolo lungo” come emergono dai dipinti di Museo Ottocento, decida di utilizzare nelle sue opere la tecnica del ricamo: quella stessa attività tradizionalmente femminile da cui siamo partiti con il gomitolo lasciato cadere dalla donzelletta di Savini ne La serenata, torna ora in una veste nuova, come strumento di emancipazione e di affermazione artistica di una donna moderna, coraggiosa e tenace, divenuta senza dubbio una delle protagoniste dell’arte, non solo bolognese, di inizio Novecento.

Bibliografia
Francesca Sinigaglia (a cura di), Guida Museo Ottocento Bologna, Pendragon, 2023.
Francesca Sinigaglia e Ilaria Chia (a cura di), Dinastia Savini, catalogo della mostra presso Museo Ottocento Bologna (18 ottobre 2024-5 maggio 2025), Museo Ottocento Bologna, 2024.
Ilaria Miarelli Mariani e Raffaella Morselli (a cura di), Roma pittrice. Artiste al lavoro tra XVI e XIX secolo, Officina Libraria, 2024.
Leda Sighinolfi (a cura di), Emma Bonazzi. Retrospettiva, Aracne, 2013.
https://www.treccani.it/enciclopedia/la-donna-modelli-ruoli-diritti_(Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco)/
Maria Rapella
Laureata in Scienze dei Beni Culturali presso l’Università Cattolica di Milano, frequenta il secondo anno del corso di laurea magistrale in Arti Visive presso l’Università di Bologna.
Appassionata di storia dell’arte e interessata all’ambito della mediazione museale, sta lavorando a una tesi sperimentale per la valorizzazione dell’archivio di disegni di Ro Marcenaro.