PITTURA DI COSTUMI
All’Esposizione Permanente di Firenze è testé piaciuto assai un acquerello che raffigura una scena del XVIII. Nulla di nuovo: in una ricca sala, mentre il fuoco crepita nell’ampio camino, due gentiluomini, non più giovani ma eleganti, giocano a scacchi. L’uno, poggiato il gomito al tavolino e il capo alla man destra, e stretta in pugno la sinistra, in un’attitudine di nervosa perplessità, cerca uno scampo allo “scacco matto” ; l’altro, già sicuro della vittoria, ha discostata la seggiola; attende osservando l’avversario e sorridendo di piacere e d’ironia, premia sé stesso con una presa di tabacco.
Nulla di nuovo; ma i personaggi sono così vivi e apparisce nell’ambiente e sul contorno tanta verità e maestria di luci, d’ombre, di particolari, ed è così netto il distacco della scena umana dallo sfondo, che anche ai poco o ai troppo intelligenti l’acquerello attesta un’arte superiore.
Infatti è opera di Paolo Bedini: un maestro nella pittura di costumi.
Paolo Bedini predilige l’ambiente storico del lusso e della grazia; le età del sei e settecento e del Direttorio: quindi ad argomento de’ suoi lavori conviene la tenuità dei motivi psicologici. Ebbene: in questa tenuità, nella quale è così arduo prevalere, consiste la sua maggior forza. Solo un acuto osservatore della vita può sorprendere e rendere certe impressioni fugaci, siano sguardi pensosi o birichine occhiate di donne leggiadre, o siano i sorrisi vari di giovani esperti a tutte le furbizie d’amore; e la verità umana balza agli occhi, mirabilmente, nei contrasti e nei consensi amorosi che il Bedini trattò, ad esempio, in Una prime nube; Sereno; Fine di temporale. Nè per nulla egli è ritrattista insigne. Aggiungete all’efficacia della sua arte la padronanza nel disegno, l’uso sapiente del colore, il lungo studio erudito delle cose ambienti.
Ma per quanto abile la tecnica, per quanto vive le figure, per quanto graziose le invenzioni, per quanto fedele alla storia il costume, per quanto squisita, nell’insieme, si riconosca l’arte del Bedini, parrebbe difficile sottrarlo alla solita accusa della ” pittura di genere ” , se non gli si potesse attribuire un merito che più o meno mancò ai suoi concorrenti e imitatori.
Egli, in particolar modo nei quadri settecenteschi, non solo dimostra la perfetta conoscenza dell’età che illustra, ma questa illustra con acuzie di critico e arguzie di satirico; c’è, in lui, qualche cosa del Goldoni, del Parini e dei Gozzi; c’è l’anima e la moralità del tempo sotto gli abiti e le parrucche de’ suoi personaggi. Che questo pregio non gli riconoscano i detrattori, che non gli mancano, si capisce; e si capisce forse anche come non l’abbiamo avvertito quei suoi colleghi dai quali fu giudicato in un recente concorso; negarlo però sarebbe cecità o peggio.
Guardate l’acquerello Mi ami…, non mi ami… Non vi è goldoniana impressione psicologica della scena suggerita dal vecchio motivo? Sia Florindo o sia il Sor Tonin Bellagrazia, dalla fisionomia e dall’attitudine di cotesto amoroso non appare l’ammollimento del secolo corrotto? E non rievocano la corruttela monacale – di quando la musica galanteggiava pur nei conventi – quelle due suore che studiano sul serio una cantatina mentre una compagna si burla di esse con ilarità quasi
sfacciata? E tardereste a riconoscere il ” Giovin Signore ” nella scena di Guai se casca il gomitolo!…? La stessa perplessità del giocatore di scacchi, nell’acquerello a cuiaccennai da prima, non è approfondita da una punta d’ironia, quasi l’artista ci dicesse: vedete le gravi occupazioni, le grandi vittorie e le grandi sconfitte di quel tempo?
D’altra parte, giustificano il Bedini d’esser rimasto fedele all’arte sua le fortune e gli onori che ebbe; sebbene più all’estero che in patria. In Italia fu premiato di medaglie a più Esposizioni e un suo lavoro (I vecchi cercano, i giovani troveranno), amatissimo all’Esposizione di Bologna dell’ ’88, fu acquistato dal Governo per la Galleria Nazionale; tuttavia per molti anni egli sdegnò esporsi ai facili giudizi della critica paesana, e credo abbia dovuto far forza a sé stesso per ricomparire, ora, a Firenze, e per promettere un acquerello all’Esposizione milanese. Bella e incontrastata fama gode invece a Vienna – ove è corrispondente del Club degli Acquerellisti – , a Berlino, a Düsseldorf, a Dresda, a Monaco.
Edoardo Schült per la Germania; il Gupil per Parigi provvidero o provvedono a venderne le opere. Il quadretto del Lanzichenecco fu venduto a Londra al prezzo di diecimila lire, e della tela Amori vecchi quei commissionari, più celebri di molti artisti celebri, vollero sin quattro riproduzioni!
Si sa: d’onorare la patria all’estero vi hanno più modi; e v’ha anche quello fallace, della ciarlanteria. Ma è quello appunto da cui Paolo Bedini rifugge e rifuggì sempre con nobile fierezza. E se anzi che sorridere dei nuovi “indirizzi” e delle nuove audacie, proclamate dall’arte la quale si proclama moderna, egli avesse applaudito a dirizzoni ed aberrazioni e avesse volto l’ingegno a maniere insolite, il suo nome andrebbe più famoso nella patria di tante fame usurpate.
ADOLFO ALBERTAZZI