Lo sguardo attento di Orfeo Orfei

Tratta il quadro di genere con molto buon gusto; e la fattura dei suoi quadri è solida e soddisfacente; dipinge uomini e cose con vivo interesse, e sa dar loro vita e sentimento, ben rari a trovarsi nella gran parte dei quadri di genere.

Così scrive nel 1906 Angelo De Gubernatis in un passo del suo Dizionario degli artisti viventi (Fig.1) riguardo all’operato dell’artista Orfeo Orfei, nato a Massalombarda il 26 marzo 1836 e celebre per l’umanità che riusciva a donare ai suoi personaggi dipinti, la cui espressività si connette direttamente con l’osservatore, risvegliando in questo un forte senso di familiarità. 

Artista di formazione tipicamente accademica (studia infatti presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna) Orfei ottiene dei premi in disegno elementare di Ornato e Architettura (1856), in Decorazione (1857) e in Paesaggio (1862), a seguito di quest’ultimo in particolare realizza un quadro poi acquistato dalla Società Protrettrice di Belle Arti (presso cui ero attivo anche l’artista bolognese Andrea Besteghi di cui Museo Ottocento Bologna espone l’opera Cimabue e Giotto), rivelando come i suoi esordi siano in qualità di paesaggista; infatti Ballentani scrive di lui e di un quadro esposto alla Protettrice, ponendo un accento sul forte tratto caratteristico della sua pennellata, che viene definita “assai pittoresca e fantastica”. Orfei si dedica anche alle esposizioni accademiche e nel 1866 ottiene il premio per il concorso grande Curlandese di Pittura con Niccolò Machiavelli inviato Commissario della Repubblica Fiorentina a Valentino Borgia (oggi in Pinacoteca Nazionale a Bologna, fig. 2), che mostra tangibili segni di contatto con la pittura di Alfonso Savini e con quella di Luigi Busi, ma subito si nota come la sua pittura abbia una natura talvolta più pungente e acuta, soprattutto grazie ad uno studio attento dei particolari dell’essere umano e dell’ambiente che lo circonda, che comunica una grande umanità ed una significativa diligenza nello studio fisiognomico dei volti e delle espressioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come esempio madre di questa tendenza il Museo Ottocento espone l’opera Il Barbiere  (fig. 3), datata 1873 in basso a sinistra della tela. Si tratta di una scena di genere dal tono verista, dove un curato si reca dal barbiere per una rasatura, mentre alla sua destra un uomo, probabilmente un contabile, siede con le gambe incrociate ed un giornale aperto su queste, con gli occhiali appoggiati sopra, intento a contare enfaticamente con le mani. Sulla destra della tela si incontrano le altre due figure che compongono la scena di genere: il barbiere, vestito con una lucente giacca di velluto marrone ed un vivace fazzoletto arancione al collo, intento ad affilare la
lama per la rasatura, mentre un bambino, forse il figlio, lo aiuta. Interessante è in particolare la figura del barbiere che, guardando direttamente davanti a sé, rompe la quarta parete e quasi sembra ammiccare amichevolmente all’osservatore, come nel tentativo di invitarlo ad entrare nella scena.
Lo studio dei particolari dell’opera è finissimo, alla pari di quelle pitture di interni fiamminghe che durante il Cinquecento erano tanto apprezzate dalla borghesia; ma Orfei rivoluziona questo interesse per il dettaglio liberandolo dalle fredde catene di un’impostazione statica ed immobile, come spesso accadeva nei quadri degli artisti delle Fiandre, donandogli invece un senso di collettività ed umanità. La scena è quella di un tipico salotto bolognese, riconoscile dall’ovale con il ritratto del vescovo e dalle piccole fiasche di vino sullo scaffale in alto a sinistra, e l’atmosfera che Orfei riesce a generare è tanto di forte convivialità quanto di estremo realismo, come si può notare dalla fitta polvere che posa pesantemente sulla gamba del tavolo, lo splendore della luce sulla boccetta e sul catino dorato affianco al barbiere, la lucentezza della caraffa in rame che posa sul pavimento, il motivo decorativo sulla sedia a sinistra, su cui si appoggia delicatamente un ombrello rosso dal manico nero, la chiave attaccata al muro dietro al curato, fino ai pesi dell’orologio appeso al muro, che penzolano lungo la parete.

Tutti questi elementi generano un’opera la cui forza narrativa risiede nei particolari quanto nell’espressività dei suoi personaggi, che appaiono vivi e partecipi: non c’è idealizzazione, ma si tratta di una rappresentazione sincera e, volendo, anche ironica del quotidiano. L’opera trasmette l’idea di un’epoca, restituendo la dimensione sociale del salotto come luogo di incontro, scambio e vita, uno scorcio domestico ricco d’umanità e vivacità, che rivela un interesse quasi antropologico dell’artista per la realtà dei ceti popolari.

Figura 2: Niccolò Machiavelli inviato Commissario della Repubblica Fiorentina a Valentino Borgia, 1866. Machiavelli a sinistra si presenta in piedi vestito con una veste rossa, Mentre Valentino Borgia lo accoglie nel suo studio sedendo sulla destra, a gambe incrociate.
Fig. 1, Dizionario degli artisti viventi

 

Giacomo Parisini


Diplomato al liceo classico statale Marco Minghetti, attualmente studente laureando al terzo anno della triennale di Didattica e Comunicazione dell’arte dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, tirocinante presso il Museo Ottocento Bologna. Appassionato di storia dell’arte e del costume, letteratura e scrittura.

 


 

Bibliografia e Sitografia:
Sinigaglia Francesca & Ilaria Chia (a cura di), Dinastia Savini, catalogo della mostra a Museo
Ottocento Bologna, Bologna, 18 ottobre 2024 – 3 marzo 2025, Museo Ottocento Bologna, 2024.
https://www.storiaememoriadibologna.it/archivio/persone/orfei-orfeo